8 dicembre 1943 – 8 dicembre 2013 – 70 anni da quel Giuramento

 

Tre giorni per ricordare il Giuramento della Garda dell'8 dicembre 1943.

Il Comune di San Giorio, il Comitato Colle del Lys e l’A.N.P.I. hanno deciso di organizzare una tre giorni dedicata allo storico compleanno.

 

Venerdì 6 dicembre, alle 21 presso la sala consiliare ci sarà la conferenza /dibattito sul tema “Cattolici e Resistenza nella Valle di Susa”: intervengono Piero Del Vecchio, direttore Rivista Segusium, Bartolo Gariglio, docente di Storia contemporanea e Ugo Berga, partigiano testimone diretto di quel Giuramento. 

 

Sabato 7 dicembre presso il Salone Polivalente di via Carlo Carli a San Giorio di Susa alle 21 la serata “Ecco la gloriosa intrepida 106°…” con canti, suoni, immagini, arazzi, scritti e testimonianze. Partecipano la Società Filarmonica “Concordia” di San Giorio, la Corale Gruppo Folkloristico di San Giorio, l’associazione Ricamo Bandera di San Giorio e gli alunni delle scuole dell’obbligo di San Giorio. 

 

Domenica 8 dicembre la salita alla Garda. Il programma della giornata prevede alle 10 il ritrovo in piazza Giordano Velino a San Giorio, con salita al Parco della Memoria in frazione Garda dove alle ore 10,30 è prevista la commemorazione con l’alza bandiera, il saluto di Danilo Bar, sindaco di San Giorio, e l’orazione ufficiale tenuta dallo storico Gianni Oliva. Seguirà alle 13 l’incontro conviviale presso il ristorante “La Balma” e nel menù ci saranno gli gnocchi di mamma Carli come quell’8 dicembre 1943.

 

Le prenotazioni si ricevono presso:

 

Comitato Resistenza Colle del Lys: 011-9532286

Danilo Bar: 328-2886136

Massimo Bachetti: 333-7570853

Ristorante La Balma: 0122-49617

 

In caso di maltempo la manifestazione si svolgerà in piazza Cinque Martiri e/o presso il Centro Polivalente di San Giorio.

 

Seguire le manifestazioni per l'anniversario del Giuramento della Garda, quest'anno più che mai, è importantissimo, poiché oggi come allora sono in ballo il futuro nostro e quello delle generazioni a venire. Così come fecero nel '43 i giovani di allora, occorre fare noi adesso. Scegliere di non delegare più, ma agire in prima persona per difendere quei valori, oggi più che mai attuali, e la nostra vita che qualcuno vorrebbe sottomettere ai propri interessi di portafoglio e di partito. 

Scacciamo quel perbenismo di facciata che dilaga nel paese, che spesso si fregia delle parole degli antifascisti, ma protegge di fatto i fascisti, se non ne utilizza adirittura i metodi. Questi, cacciamoli dalle università e dalle scuole pubbliche. Impediamo loro di farsi proteggere dalle istituzioni a discapito di giovani che li fronteggianoe che in cambio subiscono arresti e repressione.

Difendiamo i beni comuni, i territori, la scuola e l'acqua pubblica.

 

Mobilitiamoci, interveniamo e non deleghiamo nessuno al posto nostro!!!

 

...Proprio come 70 anni fa fecero i nostri partigiani.

 

 

 

“...Una cerimonia in stile militare, una messa al campo celebrata da Don Foglia con “chierichetto” Bruno Vota, i partigiani, in armi, schierati, il picchetto d’onore con il tricolore (con, ancora, lo stemma sabaudo). Così, prima di sciogliere le bande in vista dell’arrivo dell’inverno e in previsione dei rastrellamenti annunciati dai tedeschi, l’8 dicembre 1943, in località Garda a San Giorio di Susa, i principali organizzatori della resistenza della Valle prestarono solenne giuramento di combattere con tutte le loro forze contro l’occupatore straniero. Il Giuramento della Garda sarebbe diventato una pietra miliare, un impegno preciso sulla via della Liberazione e nella costruzione della Carta Costituzionale...”

 

Formalmente la Resistenza in valle di Susa cominciò l’8 dicembre 1943 con il giuramento della Garda. In questa occasione i primi partigiani valsusini giurarono in modo ufficiale di combattere per la libertà contro il nazi-fascismo anche a costo della propria vita. 

L’8 dicembre 1943 la notizia dell’armistizio gettò lo scompiglio nelle truppe stanziate lungo il confine italo-francese. Queste, scendendo a valle si sbarazzavano degli abiti militari e venivano riforniti di abiti civili dagli abitanti della val Susa. Nelle caserme di San Didero, Bruzolo, Bussoleno e Foresto vennero prelevate molte armi e messe al sicuro dagli antifascisti locali. In questi primi giorni fu il caos di bande che si formavano e si scioglievano e soltanto alla fine di settembre, quando giunsero in valle Carlo Carli, Walter Fontan, Felice Cima e Marcello Albertazzi, si formarono le prime bande organizzate verso un’attività immediata e senza sosta per rendere la vita impossibile a tedeschi e fascisti.

 

Cominciò un’intensa attività “guerrigliera”. Dal 10 settembre, più volte, fu reciso il cavo telegrafico tedesco. A metà settembre la centrale elettrica di Chiomonte fu sabotata. Il 19 e 20 settembre, quattro montanti di un palo a traliccio ad alta tensione furono abbattuti interrompendo il traffico stradale per un’intera giornata presso San Giorio. Durante tutto il mese di novembre vennero fatti saltare i binari ferroviari a Bruzolo, Borgone, Condove e Sant’Ambrogio. Già alla fine di ottobre la valle di Susa era considerata zona pericolosa per i tedeschi, che avevano apposto il cartello “Achtung! Banden Ghefar Waffen Shuzbereit Haltne!” sul ponte della Perosa ad Alpignano.

 

Potremmo continuare per molto a dettagliare operazione per operazione ma basti sapere che era un continuo fermento. L’importanza strategica della valle di Susa era dovuta principalmente alla sua posizione di confine e dalla linea ferroviaria Torino-Modane (guarda un po’ che analogie con l’attualità e il tav!). Primario era impedire al nemico l’uso della linea ferroviaria. Infatti, la più grande azione di sabotaggio di tutta Europa coinvolse proprio quella linea ferroviaria e il viadotto dell’Arnodera, scelto con molta cura dai partigiani.

 

L’esplosivo fu trasportato su un carro agricolo da Villardora a Mompantero. Quaranta chilometri di paura e di zigzag tra pattuglie e posti di blocco con otto quintali di esplosivo già innescato. All’una del 29 dicembre 1943 il ponte dell’Arnodera saltò in aria e il pilastro centrale venne letteralmente polverizzato. Per circa tre mesi tutto il traffico internazionale dei tedeschi fu interrotto. I quattro partigiani che fecero l’impresa sono don Francesco Foglia (don Dinamite), l’ingegner Sergio Bellone, “Remo” e “Vittorio” oltre ai tanti senza nome che l’hanno resa possibile. Non va dimenticato neanche il sabotaggio al ponte della Perosa, tra le stazioni di Rosta e Alpignano, che i tedeschi dovettero demolire e ricostruire per poter rimettere in sesto la linea ferroviaria.

 

Il primo inverno partigiano fu molto duro, sia per il freddo sia per i nazi-fascisti che facevano grandi rastrellamenti e in pochi mesi molti dei migliori capi partigiani furono uccisi (per esempio, Walter Fontan e Carlo Carli). Alcune bande si sciolsero e solo nei mesi di marzo e aprile le formazioni ricominciarono a ricostituirsi velocemente.

 

A primavera inoltrata la dislocazione delle bande era la seguente: nel vallone del Lys si era costituita la prima unità garibaldina della valle, la 17esima brigata “Felice Cima” comandata da Alessio Maffiodo; da Mocchie e Foresto operava la 42esima brigata Garibaldi “Walter Fontan” e da Foresto al Moncenisio, la formazione “Giustizia e libertà”. Sull’Inverso c’erano la 41esima brigata Garibaldi “Carlo Carli” da Sant’Ambrogio a Sant’Antonino e il distaccamento “Giordano Velino” della 42esima sui monti tra San Giorio e Bussoleno.

 

Nel periodo che va dalla primavera all’estate 1944, si attraversò una fase prettamente organizzativa. Nell’estate ‘44 l’attività dei partigiani si fece sempre più intensa, incalzante e soprattutto efficace. Fu per esempio attaccato il presidio nazi-fascista di Avigliana, che però non ottenne i risultati voluti. Risultati più soddisfacenti li ottennero i partigiani della 42esima durante l’attacco al presidio nazifascista di Bussoleno. L’obiettivo era quello di occupare il paese ma, in seguito a un ordine del comando generale, si tramutò in quello di infliggere più perdite possibile al nemico. L’ira nemica si tramutò in una nuova ondata di rastrellamenti e di rappresaglia anche sulla popolazione civile. Paesi incendiati, vittime e deportati. Durante uno di questi rastrellamenti, l’8 luglio 1944, le forze nazifasciste tentarono di accerchiare i partigiani sulla montagna di Chianocco ed ebbero una delle più grandi sconfitte locali. La battaglia di Balmafol entrò così di diritto nella storia. Una battaglia in cui i partigiani meno armati e meno organizzati stroncarono le forze nemiche facendo rotolare sui fascisti a valle enormi massi. Questo costrinse i nazifascisti a uscire allo scoperto e molti di loro furono uccisi dalle armi partigiane.

 

Con lo sbarco alleato in Provenza, il 15 agosto 1944, i partigiani credettero che la fine della guerra fosse alle porte. Invece dovettero affrontare un altro duro inverno in montagna. All’ordine del comando generale di sciogliere le bande per passare l’inverno in pianura, in molti si rifiutano e continuano con piccole azioni e soprattutto come punto di riferimento per i vari sbandati che giravano per la valle. Dopo un rastrellamento tra i ferrovieri, da agosto 1944 fino a fine novembre tutti i ferrovieri di Bussoleno (grazie alla forte organizzazione di una cellula del partito comunista) scioperarono. Per mesi, tutto fu bloccato perché i nazi-fascisti non erano in grado di sopperire all’importante manodopera. Alla fine, perché l’attività ferroviaria riprendesse, promisero che non ci sarebbero state rappresaglie. E così fu.

 

Con il ritorno della primavera le bande si ritrovarono con un maggior numero di uomini rispetto alla primavera precedente. Anche nell’alta valle, che fino all’inverno era rimasta quasi estranea, comincia a organizzarsi. Molte furono le operazioni partigiane per evitare i sabotaggi dei nemici ormai in fuga, con gli alleati in arrivo da sud. Il comando partigiano di zona si era stabilito a Vinovo. Qui ricevette il famoso ordine: “Aldo dice 26 X1. Stop. Applicate piano E27. Stop”. Era la sera del 25 aprile 1945. Dall’una del giorno 26 aprile, le formazioni della valle di Susa avrebbero dovuto iniziare la liberazione in valle con alcune squadre invece distaccate a Torino. L’ordine era: attaccate il nemico ovunque e senza tregua. Le formazioni restarono a Torino fino ai primi di maggio, parteciparono alla sfilata del 6 maggio e nei giorni successivi iniziarono la smobilitazione.

 

Abbiamo attinto tutte queste notizie dal libro “La Resistenza in Val Susa”, scritto da Maria Luisa Borgis, e concludiamo con l’ ultimo capoverso del libro: “L’ eredità più importante della resistenza non è costituita dal numero di battaglie vinte o perdute, ma se ne devono considerare i molteplici aspetti, quali ad esempio, la maturità raggiunta da molti giovani durante la guerra partigiana, che fu innanzitutto scuola di carattere, e il contributo dato dalla popolazione. Malgrado le continue e violente rappresaglie, le misere condizioni di vita, i valligiani non esitarono a fornire la loro collaborazione al movimento di resistenza e, benché l’ Alta Valle si sia mossa solo più tardi, si può affermare che vi fu la partecipazione popolare alla lotta di liberazione."